In preda ad astratti furori

Storia di una emigrata al nord

Di Benedetta Spampinato

Elio Vittorini cominciò il romanzo Conversazione in Sicilia scrivendo degli “astratti furori” provati dal protagonista, Silvestro Ferrauto. Era il dicembre del 1936 quando Silvestro decise di tornare in Sicilia dopo quindici anni trascorsi a Milano, dove si era trasferito per lavoro. Quando ricevetti la mail con la mia convocazione in una cittadina del Nord Italia, proprio vicino a dove Silvestro si era trasferito per cercare fortuna, pensai immediatamente a quell’incipit di Vittorini. Anche io ero presa da astratti furori, sentimenti indistinti, una miscela di inquietudine, curiosità e smarrimento. È la storia che si ripete come certi concetti che scrittori assai più profondi di me hanno saputo raccontare. Non si riflette mai abbastanza su quel territorio liminale che sta tra il quieto vivere e il doversi adattare a un cambiamento. Eppure, quel giorno in cui ricevetti la mail che conteneva il nome della mia destinazione mi parve come un invito del destino. Non avevo scelta: dovevo partire, lavorare, iniziare qualcosa di nuovo. In cinque giorni raccolsi i miei anni di vita e studio e li incapsulai in una valigia, che poi divenne una macchina carica di speranze, timori, di cose necessarie e superflue. Sì, viaggiare, come cantava Battisti in una canzone che sa di freschezza, ma in questo caso viaggiare avrebbe significato imbattersi in un gelo che arriva a ghiacciarti le orecchie. E poi c’è la nave. Una transizione fisica ed emotiva, un ponte tra due mondi. Carichi l’auto, stipi qualcosa di più della tua vita impacchettata in una valigia da 23 chili, e salpi. Davanti alla Corsica, dove il Wi-Fi prende a tratti, pensi alla distanza tra te e la tua terra, tra te e il futuro che ti aspetta. “Ma che ne sanno quelli del Nord!” qualcuno dice nella fila per entrare al ristorante sul mare. E, per un attimo, ti unisci a quel pensiero. Che ne sanno loro di lasciare ciò che hai costruito in trent’anni di vita nella tua città, tra affetti, luoghi familiari e relazioni. Che ne sanno del freddo, della solitudine, del sentirsi fuori posto. Da un giorno all’altro spostata al Nord con cinque giorni di tempo massimo. In Italia lo stacco tra Nord e Sud è vivido, quasi insormontabile. Chi è cresciuto al Sud spesso sogna di restarci, mentre chi è del Nord guarda sempre più al Nord. E noi del Sud? Volenti o nolenti, ci siamo sempre dovuti adattare, proprio come Silvestro Ferrauto. Da un giorno all’altro, si parte, si cambia. Ma il cambiamento non è mai solo geografico.

E allora mi accorgo che quegli “astratti furori” non sono poi così astratti. Sono radicati nella condizione di chi deve continuamente riposizionarsi, ricreare un equilibrio in bilico tra ciò che lascia e ciò che trova. Sono i furori di chi non ha deciso, ma accetta, perché in fondo sa che la vita è un continuo dialogo tra casa e altrove. Forse, però, non è solo il luogo che lasciamo a definirci, ma la capacità di creare nuove radici senza dimenticare quelle vecchie. Forse non si tratta nemmeno di scegliere tra casa e altrove, ma di accettare che entrambi convivono in noi, in una tensione continua tra passato e futuro. Parliamo di più di ciò che sta nel mezzo: delle navi, dei biglietti senza ritorno, delle case nuove e delle geografie da riscrivere. È lì che si costruisce la nostra identità, nei frammenti che ci portiamo dietro e in quelli che scopriamo lungo il cammino. E così ho imparato a portare tutto con me: non solo il peso delle cose lasciate indietro, ma anche la leggerezza di ciò che trovo. Sto del mezzo, e in quel mezzo c’è tutta la nostra umanità.

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