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Call Center: la fabbrica dello sfruttamento

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Di Redazione

Le condizioni di lavoro nel settore della vendita telefonica: bugie, stipendi da fame e una cultura del ricatto.

Avete presente quei fastidiosi call center che chiamano a ogni ora del giorno e della notte per proporre contratti di luce e gas che sembrano all’apparenza vantaggiosissimi? Li conosciamo bene da questa parte della cornetta, ma cosa succede dall’altra parte? Per scoprirlo, mi sono candidato a un annuncio pubblicato su Indeed: “Operatori da remoto, stipendio fino a 1.500 euro al mese, benefit vari, possibilità di crescita”. Ho risposto all’annuncio e, lo stesso giorno, sono stato contattato dall’azienda per fissare un colloquio per il giorno seguente.

Entro nell’edificio, quasi vuoto, con qualche pianta ornamentale e gli uffici del call center. Una donna di mezza età, parlando in modo affrettato e poco chiaro, mi consegna una scheda da compilare. Nonostante avessi già inviato il mio curriculum, mi viene richiesto di trascrivere nuovamente tutte le informazioni. Chiedo spiegazioni, ma la risposta è evasiva: “Abbiamo troppo lavoro per leggere tutto”.

Dopo aver compilato la scheda, noto oltre una vetrata una scena desolante: persone con cuffie alle orecchie, giovani e meno giovani, lavorano in postazioni strette come in gabbie. Una visione alienante, che rende immediatamente chiaro il tipo di ambiente lavorativo.

Veniamo al puzzle confuso delle condizioni contrattuali. Terminata la compilazione, vengo indirizzato in un’altra stanza per un colloquio, dove mi viene spiegato il meccanismo. Il cosiddetto “fisso” varia tra i 450 e i 550 euro al mese, a seconda del numero di contratti chiusi. A questo si aggiungono provvigioni, da 3 a 12 euro per contratto, in base a soglie mensili. Per 30 ore settimanali, si parte da un minimo di 450 euro (meno di 4 euro lordi all’ora) fino a un massimo di 950 euro, a condizione di chiudere 60 contratti in un mese. Inoltre, un “bonus assiduità” di 100 euro è riservato a chi non fa assenze.

È evidente che il sistema è studiato per creare confusione e rendere difficile capire il reale valore del lavoro svolto. Inoltre, i target sono deliberatamente irraggiungibili senza fare ore extra, ovviamente non retribuite. In pratica, le 30 ore settimanali dichiarate diventano 60 per chi vuole “galleggiare” economicamente.

L’annuncio prometteva benefit come “crescita personale” e “mensa aziendale”. Alla mia richiesta di chiarimenti, scopro che la “mensa aziendale” consiste in una pausa di 10 minuti durante la quale si possono consumare pasti portati da casa o acquistati “gentilmente” dall’azienda, ma a spese del lavoratore. Anche la pretesa di crescita professionale si rivela una menzogna: non esiste alcun percorso formativo o di avanzamento reale.

Quando chiedo di visionare la bozza del contratto, mi viene negato. Chiedo allora l’informativa sul trattamento dei dati personali. La risposta?

La vedrai dopo aver firmato il contratto”. Il tutto è condito da frasi vaghe e contraddittorie: “Questo è il mondo dei call center, qui non valgono le regole degli altri posti di lavoro” e “Negli altri call center è molto peggio”. Una giustificazione costante del sistema che cerca di legittimare condizioni di sfruttamento.

Tra gli aspetti più subdoli c’è la prassi dei doppi turni. Gli orari ufficiali di 6 ore al giorno sono insufficienti per raggiungere i target e accedere ai premi. L’azienda presenta questa situazione come un’opportunità: “Puoi fare un doppio turno per chiudere più contratti”, ma senza retribuzione extra. Chi rifiuta viene etichettato come privo di “spirito di squadra” e rischia di non vedersi rinnovato il contratto.

Un altro elemento che smaschera la vera natura dell’azienda è il bonus “porta un amico”: 50 euro per ogni conoscente reclutato. Una misura che evidenzia quanto sia difficile trovare personale disposto ad accettare queste condizioni e di quanto si tratti invece di una fabbrica delle illussioni. Se il lavoro fosse davvero vantaggioso, non ci sarebbe bisogno di incentivi simili. Infondo si tratta di una truffa su due fronti. Da un lato, i lavoratori vengono attratti con promesse irrealizzabili e sottoposti a condizioni precarie e umilianti. Dall’altro, i clienti vengono convinti con tecniche di persuasione manipolative ad accettare contratti svantaggiosi.

Alcune riflessioni. Questa esperienza non rappresenta un caso isolato, ma uno spaccato di una realtà lavorativa diffusa in molti settori, incluso il pubblico, il privato e il terzo settore.

Contratti opachi, la manipolazione delle aspettative e l’uso di strategie di pressione sono meccanismi che normalizzano l’abuso, portando alla formazione di ambienti dove la dignità del lavoratore viene calpestata. L’apparente informalità, la normalità di frasi come “siamo una grande famiglia” o “qui è già meglio che altrove” sono maschere per nascondere un sistema che genera sfruttamento e il primo passo verso la legittimazione di abusi sistematici. È così che nascono i nuovi padroni, e, se non stiamo attenti, rischiamo di legittimare il loro potere con il nostro silenzio.

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