Di Cleziana Iacona

Guerre, deserti, sfruttatori, fame. Una ragazza come tante nel tritacarne di mafie, polizie e complici vari.

La mafia cerca persone vulnerabili da mandare sulla strada. Ognuno ha la  propria storia, veniamo tutte da paesi diversi. Alcuni fanno giurare che se non  fai qualcosa ti può prendere la pazzia. Grazie a Dio a me nessuno mi ha fatto giurare. Ho studiato un pochino, ero in Europa, ho chiesto aiuto…

***

– La mia mamma un giorno è diventata depressa, ero piccola. Da noi in Africa  parlano direttamente di follia, pensano alla magia prima dell’ospedale.

– Così ha inizio la storia di Lou (la chiameremo così).

– Mi hanno portato da un uomo che disse: “Posso fare qualcosa, ma per  curare la mamma mi dovete dare la figlia in matrimonio”. Mio nonno, mi  ricordo bene, ha detto no; amava troppo la mia mamma però era l’unico, e  allora mi hanno lasciato lì. Avevo 13 anni, non ho mai avuto un padre, lei è  l’unica persona che conosco, che ho mai amato in tutta la mia vita. Sonostata lì 4 anni, dai 13 a 17; il vecchio grazie al cielo non mi ha mai toccata ma  aveva quattro mogli e undici figli; hanno iniziato loro, uno dopo l’altro. Quando  dormivo la notte: uno viene, abusa e poi viene l’altro. Avevo 17 anni, un  giorno uno dei figli, innamorato di me, mi portò ad un mercato in un altro  villaggio. Aveva fiducia in me; mi ha lasciata da sola dieci minuti e sonoentrata in una macchina.

– Senza soldi, senza casa, senza mamma…

– Ho studiato fino a 25 anni, la famiglia di mia mamma non sapeva dov’ero,  erano tranquilli. Un giorno ho provato a tornare a casa pensando che la  polizia può fare tutto, ma ci sono minacce che sono di più.

– Inizia la guerra.

– Parlavo francese in una città dove si parlava inglese, dovevo tornare dall’altra parte ma non potevo; avevo tutta la famiglia addosso.  Avevo un’amica  di quella zona, disse di potermi aiutare; parlavo sempre con lei dei  miei problemi. Le persone che fanno mafia hanno persone ovunque, e lei aveva una sorella in Marocco che faceva “queste cose delle donne”.

– Comincia il viaggio.

– Mio figlio l’ho partorito a metà strada nella salita in direzione del Marocco, è  venuto un po’ prima per le difficoltà della strada, ho fatto il bambino sulla strada e abbiamo fatto la strada fino al Marocco. Ho fatto il deserto del  Sahara con un piccolo di tre mesi. Eravamo tante persone, parlavamo tutti  francese. Quando siamo arrivati ho capito, solo in quel momento, che noneravamo là per lavorare. Quando ti prendono non ti dicono mai che stai  andando a fare questo tipo di lavoro; non possono dirlo perché ti posso  assicurare che, se ti dicono, il giorno che stai andando, che farai questo tipo  di lavoro non puoi mai accettare.

Là è cominciato il vero calvario, era meglio stare al mio paese e morire di guerra, però quando vai avanti non puoi più  tornare indietro.

***

– Sono organizzazioni, è la mafia di là; tutti nascosti. In una macchina potete  entrare anche venti. In Marocco è iniziato lo sfruttamento sessuale. Quando  arrivi là sei con loro, perché loro ti hanno pagato il trasporto per arrivare, loro  ti danno la casa quando arrivi; se ne fregano se hai le mestruazioni, se non ti  senti bene: fai quello che devi fare. Loro decidono tutto, tu non puoi neanche  uscire perché fuori c’è la polizia e tu non hai i documenti.

– Annientano così le vite di giovani donne.

– Tu non puoi più tornare a casa, allora ti dicono di andare in Libia per  viaggiare verso l’Europa. Quando ti dicono così tu sei sicura che sei salva,  ma no. Il Marocco è ancora un posto dove c’è la polizia, se riesci a scappare  qualcuno ti può salvare. La verità però è che non puoi perché la signora che  gestisce è sempre sulla porta: entrano sempre ma nessuno esce.

***

– Parlarne è difficile, fa ancora male.

– Non ti lasciano troppo nello stesso posto perché hanno paura che puoi  scappare, se devi stare due anni ti danno ad altre persone. Ti fanno fare sei  mesi in un posto sei mesi in un altro e poi ti spostano. Meglio stare in Marocco, con la speranza che un giorno se vedi la polizia te ne puoi andare. Nella Libia la polizia non c’è, tutti hanno armi grandi; così grandi che, quando entrano hai paura che vogliano sparare. In Libia mi ha salvato un uomo che è venuto e ha visto mio figlio piangere, mi ha chiesto se volevo venire con lui; ho detto di si.

– Sono stata lì e avevo paura.

Ho preso il bambino, non sapevo dove andavo, però ho pensato che era  meglio stare con una persona che con centomila che non conosci. Quelli che  ti prendono non ti amano, ma devi correre il rischio. Mi ha portato in una  casa, mi ha dato da mangiare, sono stata lì e avevo paura. Nella Libia, non si  cammina di giorno, non si cammina di notte, non puoi chiamare un taxi, non puoi uscire; devi stare là senza muoverti. Potresti uscire e trovare un gruppo  di mafiosi che ti prende e lì è ancora un’altra storia. Questo ragazzo non mi  ha mai toccato, un giorno è venuto a casa e mi ha detto “vuoi viaggiare?”, mi  ha nascosto sulla sua macchina e siamo arrivati dove si faceva il viaggio;  così sono arrivata qui.

– In Italia…

***

– Non dovevo finire in Italia, avevo altre persone che mi aspettavano per  andare in Francia. Non ti danno soldi,  ti dicono sempre che hanno pagato, che ti danno la casa, che se vuoi puoi andare, ma in realtà non ne hai la  possibilità. Non so come hanno fatto a rintracciarmi in Italia, hanno trovato  dov’ero e mi hanno mandato un messaggio su Fb. Ti trovano sempre. “Devi  venire con noi in Francia perché ancora devi pagare”, mi hanno detto. Quel giorno sono andata al commissariato, ho conosciuto l’associazione“Penelope” e ho voluto cambiare vita, anche per mio figlio. Ho deciso di  ascoltare.

[I frammenti di discorso diretto sono stati riportati con una trascrizione  rispettosa dell’autenticità linguistica dell’intervistata – ndr]

I NUMERI DELLA TRATTA 2019-2023

“In Europa le donne pagano sempre col proprio corpo, non esistono corridoi umanitari; arrivate in Italia non sono libere” dice Giuseppe Bucalo, presidente dell’Associazione “Penelope”, che ha condiviso con noi i dati su cui lavora.

Le donne ivoriane, guineane, e camerunensi giunte in Italia dal 2016 al 2023 toccano rispettivamente questi picchi: nel 2016 giungono in Italia 1631 ivoriane, tale fenomeno intraprende una fase di calo nel 2018, quando si contano 275 donne arrivate in Italia. Dal 2018 al 2022 una climax ascendente fino a raggiungere il picco più alto delle statistiche: nel 2022 giungono in Italia 2209 donne ivoriane.

Per quanto riguarda la Guinea partiamo da un numero  di 399 donne giunte in Italia nel 2016, la curva scende toccando il suo punto più basso nel 2019 con 38 arrivi registrati e nel 2022 si tocca il punto più alto  della curva, registrando un dato di 1239 arrivi. Nel 2016 arrivano dal  Camerun 787 donne, nel 2019 la curva tocca il suo punto più basso  registrando 38 arrivi; nel 2022 sfioriamo il punto più alto della curva specifica  ma al contempo il più basso tra gli alti in una visione d’insieme: vengono registrate 401 donne giunte in Italia dal Camerun nel 2022.

***

“Il traffico delle donne ivoriane e francofone è gestito sulla base di un sistema  capillare di comunicazione. I pointeurs (puntatori), generalmente uomini,  costituiscono una rete con sede centrale in Francia e contatti locali in Italia  nelle aree di frontiera o di transito (specie Sicilia e Liguria e Piemonte) il  denaro necessario viene inviato ai pointeurs locali che provvedono ad  organizzare il transito. Il debito contratto si ripaga con prestazioni e  sfruttamento sessuale.

Della rete sono parte attiva le donne trafficate che contattano/invitano le  connazionali a raggiungerle in Francia (Tantie. zia).

Connivenze possibili, dentro le strutture di accoglienza delle donne che non si  allontanano o di mediatori culturali”. (Indagine DDA Catania)

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