Di Martina Lupo
In Italia, unə psicologə che vuole diventare psicoterapeuta sa che dovrà fare quattro anni di tirocinio non retribuito, all’interno di una scuola di specializzazione a pagamento. Pagare per lavorare gratis. Sì, perché in diversi casi quello che dovrebbe essere un tirocinio si trasforma a tutti gli effetti in un lavoro.
“Ragazzi avete letto? Sarà vero?”
“Mah, mi sembra impossibile! Non riguarda sicuramente noi”.
Leggo distrattamente con un occhio i messaggi che arrivano nella chat di gruppo dei colleghi che fanno insieme a me il tirocinio di specializzazione in psicoterapia. Con l’altro occhio continuo a guardare il film di natale che passa alla tv, in questa metà di dicembre del 2024.
“In teoria la notizia è ufficiale, è un provvedimento inserito nella legge di bilancio”.
“Sì, qui dice che riguarda gli specializzandi sanitari non medici, siamo noi”.
Ma di che stanno parlando? Leggo meglio i messaggi, clicco sulla notizia che qualcuno ha mandato in chat: “tirocini retribuiti anche per psicologi, veterinari, farmacisti e biologi ospedalieri, un primo passo”.
Ah, però! Questi siamo davvero noi, penso mentre spengo la tv e inizio a cercare meglio la notizia tra i giornali online.
Lo scetticismo dei miei compagni di corso è lecito e condiviso: in Italia, uno psicologo che vuole diventare psicoterapeuta sa che dovrà fare quattro anni di tirocinio non retribuito, all’interno di una scuola di specializzazione a pagamento.
Pagare per lavorare gratis.
Sì, perché in diversi casi quello che dovrebbe essere un tirocinio, cioè una palestra di formazione, si trasforma a tutti gli effetti in un lavoro: sia per l’impegno di ore richiesto, sia perché ben presto ci si rende conto che ci sono interi servizi (pubblici) che si reggono sull’attività degli specializzandi. Interi servizi (pubblici) in cui all’emergenziale carenza di professionisti assunti si risponde con la disponibilità di specializzandi, che devono obbligatoriamente svolgere un tirocinio per poter superare l’anno di corso. Un tirocinio che prevede di fatto un monte ore totale minore, ma che si allunga stranamente nel tempo, a coprire un anno intero, a volte due.
Così, da ideale ambiente protetto in cui poter iniziare a praticare un mestiere difficile e delicato sotto la supervisione di un tutor specializzato, ci si ritrova in alcuni casi a lavorare da soli, cercando di far scorrere una lista d’attesa di persone e di pazienti che aspettano anche più di un anno per poter accedere ad un servizio (pubblico), in cui senza tirocinanti si aspetterebbe ancora di più. Si sente da lontano l’eco dell’atavico dibattito sulla sanità pubblica e sulla salute mentale, sugli investimenti statali, pochi, sul perché la priorità sia la difesa e non la sanità, l’istruzione, la ricerca.
Alla fine comunque in questo tirocinio impari, impari pure bene. “Ti fai le ossa”, come ti dicono i grandi che ci sono passati prima di te.
Ti fai sicuramente le ossa. Sulle persone, sul tempo degli altri, sul tuo tempo che non basta più nemmeno per cercare un lavoro vero. Difficile trovarne uno quando ti tocca dire “guardi che però mancherei tre giorni a settimana, ho il tirocinio”.
“Ragazzi, ma non ho capito, quindi ci daranno davvero una borsa di specializzazione?”
Nella chat di gruppo si continua a chiacchierare. Arriva nel frattempo anche un’email del CNOP (Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi) che conferma l’istituzione di un fondo per gli specializzandi (delle scuole pubbliche universitarie) a cui sarà riconosciuto il diritto per un contributo economico per tutta la durata del corso, unitamente a quelli di altre professioni sanitarie (veterinari, farmacisti, biologi ecc.), in virtù di un fondo di 60 milioni per i prossimi due anni.
“Non si sa ancora quando, non si sa ancora quanto, ma è un primo passo, no?”
È un primo passo.
Magari un primo passo verso un mondo in cui i servizi per la salute mentale sono pieni pieni di persone assunte che lavorano, insieme a tirocinanti in formazione che non le sostituiscono ma le affiancano, come dovrebbe essere.
“Sarebbe un bel regalo di natale”, scrive uno nel gruppo.
“Sarebbe proprio un miracolo di natale!”, gli risponde giustamente un altro.